CRISTINA



Era il 18 settembre. Ricordo bene quel giorno, uno stupido giovedì di metà mese, con l’estate che ormai salutava la nostra pelle e l’autunno che si affacciava nelle nostre vite.
40 scatoloni, un sacco di soldi spesi per impacchettare una storia durata due anni, le lenzuola sfatte dopo l’ultima notte passata insieme.
Fumavo quella che avevo deciso essere l’ultima Camel light della mia vita, mentre, distratto, guardavo fuori dalla finestra la città svegliarsi.
Raccoglieva i suoi vestiti con i capelli che le scendevano sui seni. Quei seni che avevo stretto e baciato per tutta la notte. Sentivo ancora il dolce sapore della sua pelle mischiato al fumo nella mia bocca. Lo avrei tenuto stretto nella mia saliva per tutta la vita.
Non avevo il coraggio di guardarla andare via. Avrei voluto fare ancora una volta l’amore con lei, sentirla mia, entrare dentro la sua anima, penetrarle i pensieri, il cuore, la mente.
La valigia era già pronta vicino alla porta, quasi ad implorarle di portarla fuori in fretta. Di farla salire su quel treno che l’avrebbe riportata a casa.

Cristina, perché vai via da me?
Glielo avrei voluto chiedere, ancora una volta. Ma non aveva senso.
Nel manuale distruzione, a pagina 19 c’erano tutte le risposte. Avevamo meticolosamente messo in pratica tutti i principi distruttivi di cui eravamo capaci. Non potevamo rimanere legati per un semplice affetto, non sarebbe stato giusto per le nostre vite. Lei era una pura, mi avrebbe amato in eterno, portandomi in un pezzo del suo cuore che però adesso non faceva parte della sua vita. E’ difficile spiegare il disamore.

Cristina, ci metterò altre due vite a farmi piacere una come te. Amavo la tua pelle bianca stesa su quella terra rossa dove per la prima volta abbiamo fatto l’amore. Amavo la matita nera sbavata sotto i tuoi occhi. L’anello che mettevi sempre all’indice. Quella gonna bianca che usavi d’estate per andare al mare. Amavo persino quei pessimi libri che leggevi prima di andare a letto. Amavo tutto di te. Anche quel tatuaggio sulla caviglia di cui tanto ti pentivi.
E adesso? Ti amo ancora ed ecco perché non sopporto saperti non mia. Ecco perché non sopporto ritornare a quel 18 settembre, a quella porta chiusa frettolosamente mentre ancora fumavo la mia Camel light.


Guardo fuori dalla finestra. Sono ancora a letto. E’ un giovedì di metà mese, la città si sveglia e io sono ancora qui con la mia Camel light e il profumo di te, che ormai non ci sei più, nei miei pensieri.

[Grazie a Mi. per avermi ispirato]

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