Sulla panchina.

Non pensavo che sarei mai arrivata ad un punto in cui avrei tirato le somme della mia vita e ci avrei visto tutto nero.
Non ci siamo proprio. E' come se stessi tirando i fili della mia esistenza con i denti, trascinando tutto quello che sono con la sola forza della parte più fragile del mio corpo.

Sento che mi sono crollate addosso le torri gemelle dell'infelicità. 
Sono letteralmente sepolta da una forte insoddisfazione che mi sta togliendo, un sorso alla volta, tutta la gioia di vivere di cui ero portatrice sana. 
Sorrido, ma fingo. Perché è più semplice fingere che vada tutto bene. Del resto, nessuno capirebbe. Neanche tu, mio caro lettore o lettrice.
E non prendertela se ti dico che non puoi neanche lontanamente sapere cosa provo.
Perché l'insoddisfazione e l'infelicità sono le neoplasie dell'anima, di cui ognuno ha un modo tutto personale di provare e sentire.

Io pensavo che fossero curabili. Con lo sport, con il mare, con i tramonti, con il mi butto nel lavoro e non ci penso. Con gli affetti e gli amici. Con il cioccolato e le abbuffate di fronte al frigorifero. Con le chiacchierate con gli sconosciuti.

Tutti palliativi illusori. Droghe dall'effetto potente che mi facevano stare bene ore, a volte anche settimane. Endorfine di cui non potevo fare a meno. E non posso, neanche ora, farne a meno.

Però la vita non è questo. O almeno non è solo questo.
La vita è mettere in riga quello che ti porti dentro. 
Progettare algoritmi con soluzioni imprecise ma soddisfacenti. 
Considerare via di fuga. Soluzioni alternative. 
Arrendersi a quello che si è. 
Desiderare quello che si ha. 
Costruire e demolire per fare meglio. 
Superare gli ostacoli ignorando l'acido lattico che poi ti brucerà le fibre dell'anima. 
Rischiare. Ma soprattutto volere tutto questo. 
Volerlo così forte da non fermarsi. Mai. Neanche quando tutto sembra nero. Neanche quando tutto non ti piace ma te lo fai andare bene lo stesso. 

Ecco, io credo di essermi seduta un attimo alla panchina per riposarmi. 
Per pensare. 
Per riflettere su quello che voglio. 
Per cercare nella borsa, tra tutte le cose che porto, se c'è qualcosa che realmente mi serve. 
Per bere un sorso d'acqua e farmi passare quel bruciore che ti lascia senza fiato. 
Per guardarmi intorno. Vedere gli alberi e capire dove sono le radici. Sentire l'odore del mare e pensarlo dentro di me.
Per capire chi sono. E cosa ho tra le mani. 

Mi alzerò prima o poi. Perché mi piace correre. E' la metafora della mia vita. Non fermarmi, mai.
Ma adesso lasciatemi sulla panchina. Ché i miei muscoli hanno bisogno di riprendersi. 

Commenti

  1. Io ti capisco Poiché lo vivo sulla mia pelle.
    Ti abbraccio.

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  2. La vita è mettere in riga quello che ti porti dentro.
    Progettare algoritmi con soluzioni imprecise ma soddisfacenti.
    Considerare via di fuga. Soluzioni alternative.
    Arrendersi a quello che si è.
    Desiderare quello che si ha.
    Costruire e demolire per fare meglio.
    Superare gli ostacoli ignorando l'acido lattico che poi ti brucerà le fibre dell'anima.
    Rischiare. Ma soprattutto volere tutto questo.
    Volerlo così forte da non fermarsi. Mai. Neanche quando tutto sembra nero. Neanche quando tutto non ti piace ma te lo fai andare bene lo stesso.


    Ti dico solo che in queste righe c'e' davvero il senso del tutto.
    E' gia' bene che tu lo sappia.
    Anche io me ne sono accorta tardi, ma, appunto, me ne sono accorta.
    Ognuno ha la sua via e il suo momento. Il suo percorso.

    Ti abbraccio,

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  3. Credo sia normale prendere un pò di tempo, restare per qualche partita in panchina. Anche per una stagione si può restare fermi. Poi però si torna in campo.
    Ti abbraccio anch'io.

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  4. A volte bisogna accontentarsi di quello che si ha, l'importante è continuare a vivere in pace con se stessi

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  5. La panchina é temporanea.
    E per certi versi una mezza manna dal cielo.
    Pensa non accorgersi di niente, e continuare a vivere come se tutto fosse regolare, spegnersi poco a poco senza opporre resistenza.
    Meglio la panchina.

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