Classe 1986 (parte 1)

Classe 1986. Fin da quando lo spermatozoo di mio padre e l’ovocita di mia madre si incontrarono, tutti pensarono che io fossi un maschio. Persino il ginecologo più famoso dell’ameno paesello in cui sono nata e cresciuta.
Al via l’acquisto delle tutine celesti e delle scarpine senza fiocchi. 
Poi, il giorno della mia nascita, esattamente il 12 febbraio di tanti, ma tanti, ma tanti anni fa, l’ostetrica uscì dalla sala operatoria esclamando con giubilo a mio padre: è una femmina
La delusione di essere nata con una farfalla al posto di un pesce fu, per fortuna, subito rimpiazzata dalla gioia della mia nascita. 
Una bella bambina di 3,5 kg, con una folta chioma nera, di pelle color cioccolato e le guance rosse come due ciliegie. 
Mia madre dice sempre che io mangiavo, bevevo e dormivo. Funzioni primarie ed essenziali che ho mantenuto con una certa costanza per il resto della mia vita. Diciamo che non ero per lo spreco di energie, ecco.

I primi anni di vita li ricordo grazie alle fotografie che vagano per casa. Avevo degli occhioni che si impossessavano di tutto e di tutti. Ero vanitosa, terribilmente vanitosa. 
Alla scuola materna, la mia maestra mi faceva fare, durante le recite, dei balletti terribili, roba da seppellire la testa, ma anche tutto il corpo, sotto la sabbia per la vergogna. 
Rossetto rosso e ombretto blu, gonne svolazzanti…insomma, meglio se non continuo. Però ero una bambina che non passava inosservata. Soprattutto agli occhi di Giovanni, il primo “uomo” della mia vita che feci subito fuori a colpi di indifferenza.

Fui un talento incompreso. Volevo fare la ballerina (unica nota positiva rimasta di quei balletti che la maestra mi insegnò), ma mia madre mi iscrisse al corso di ginnastica correttiva. 
Mi piaceva disegnare e colorare, ma la maestra mi insegnò (oltre ai balletti, è chiaro) a leggere e scrivere a 5 anni. Arrivai in prima elementare snobbando i miei compagni che faticavano a scrivere le vocali.

Di quegli anni non conservo ricordi molto nitidi. Guardavo Non è la Rai e imitavo Ambra Angiolini davanti allo specchio.
Una volta mia madre mi beccò che facevo la cretina in camera sua e io da quel giorno smisi di atteggiarmi, considerato che ormai mezzo paese conosceva le mie doti da soubrette davanti allo specchio. Non solo, fare la cretina mi era costato una caduta e cinque punti dietro alla testa, all’altezza del cervelletto. Sarà stato per quello che adesso sono così.

Avevo una compagna, Isabella, con la quale passavo molti pomeriggi, facendo i compiti insieme. Poi c’era Natale, che ogni tanto si univa a noi e dal quale mi piaceva farmi prestare i rollerblade, Antonella, che ricordo per il tragico destino che le capitò (perse sua madre malata di cancro in quinta elementare), Mauro, di cui ricordo il rosso vivo dei suoi capelli, Roberto, ancora oggi innamorato di me, e poi Cicciopalla, la bella dagli occhi azzurri e tanti altri.

In quegli anni ero una bambina piuttosto tranquilla, portavo sempre la frangetta, i capelli raccolti, frequentavo una ludoteca con altri miei coetanei, dove riuscii a conquistarmi la simpatia di Maurizio, uno degli animatori. Un bellissimo ragazzo che non ho mai più rivisto, mah. 

Ero la prima della classe, quella che le maestre coccolavano senza troppo ritegno. 
Sempre in quinta elementare ebbi il mio primo fidanzatino, Luigi, lo stesso Luigi che rivedo ancora oggi perché vicino di casa di mia nonna.
Luigi mi voleva bene, come sanno volerti bene i bambini di 10 anni, ma io no. Non so neanche perché misi la croce sul SI, quando mi scrisse la classica frase Ti vuoi mettere insieme? 
Insomma, per farla breve, io mi vergognavo e per sembrare quella forte, finii col fargli un sacco di dispetti. Per fortuna, lui mi ha sempre perdonato.
Non ricordo bene come impiegassi il mio tempo oltre la scuola. 
So che mia madre mi iscriveva ogni anno in palestra per questa benedetta ginnastica correttiva, che guardavo pochi cartoni animati, che ero ligia al mio dovere di studentessa e che l’estate mi trasformavo in un maschiaccio, intenta a giocare in cortile con i miei vicini di casa.

Alle medie conservai il mio stampo di ragazzina seria, meticolosa studentessa che se ne stava sempre per i fatti suoi. 
Amavo il mio prof di matematica perché aveva un modo ironico e leggero di insegnare, ma amai anche quello di italiano, che lodava i miei temi, leggendoli davanti a tutti in classe, e che con scarsi risultati cercava di convincermi ad iscrivermi al magistrale. 
Fu così che imparai l’arte della scrittura sui diari di Mafalda e su delle vecchie agende, per poi perfezionarla su quelli della Smemoranda ai tempi del liceo.

In quegli anni mi avvicinai al mondo della musica, quella vera. 
Ricordo che ogni volta che andavo da mia nonna, mi intrufolavo di nascosto in camera di mio zio, e leggevo i giornali di musica che lui comprava. 
Fu allora che ascoltai per la prima volta gli Afterhours, gruppo che avrei poi apprezzato per tutta la vita, ma che i miei coetanei non sapevano manco chi fossero.
Erano gli anni delle Spice Girls e dei Backstreet Boys. Ascoltavo anche loro, in particolare le Spice, che avrei voluto imitare tutte, perché tutte mi piacevano: la mascolinità di Mel C, il lato baby di Emma, l’aggressività di Mel B, l’eleganza di Victoria, la tamarraggine di Geri.  

In seconda media, conobbi Paolo, quello che sarebbe stata la mia prima cotta adolescenziale, trasformandosi poi in un amore non corrisposto che è durato anni.
Paolo era il fratello maggiore di un mio compagno di classe, mi innamorai dei suoi occhi color verde acqua e poi perché era proprio bello. 
Con Paolo non successe mai nulla, salvo ritrovarlo 5 anni dopo, in estate, per caso in un locale, e cominciare una relazione virtuale intensa che però, per uno strano gioco del destino, non si riuscì mai a concretizzare (io che ero fidanzata, il giorno dopo averlo visto, partii per le vacanze e quando ritornai, lui partì per Milano, dove studiava). 
Rimanemmo così due che continuarono a sentirsi di nascosto per messaggi, fino a quando lui non andò in Erasmus. 
Oggi Paolo è solo un bel ricordo adolescenziale. Si è sposato, si è imbruttito, vive in Canada e aspetta una figlia.

Nonostante Paolo, onnipresente nei miei pensieri, Fabio, riuscì a rubarmi il tempo, più che il cuore, per una manciata di giorni estivi, prima dell’inizio del liceo. Fu il mio primo bacio, il mio primo ragazzo ufficiale, il mio primo non amore. 
La fine dell’estate segnò anche la fine della nostra storia. Lui ritornò nel suo paese e io rimasi nel mio, con la Smemoranda che mi regalò affinché io mi ricordassi di lui. 
Ma la verità è che io lo dimenticai subito, e nonostante le promesse di vederci durante l'anno, non ci vedemmo mai, ma ci rincontrammo l’estate successiva, e quella successiva ancora. Stessa spiaggia, stesso mare.
Ma durante quelle estati il mio cuore era già stato dato in affido ad altri ragazzi....

(to be continued...)

Commenti

  1. che bello leggere di te così! Mi verrebbe da chiederti come mai hai deciso di scrivere della tua vita, è l'influenza del teatro?:)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io scrivo della mia vita sempre, ma non l'ho mai fatto in questa forma.
      Anni fa partecipai ad un corso di formazione dove ci esortavano a scrivere l'autobiografia della nostra vita, come esercizio per leggersi e scoprirsi.
      Oggi, a distanza di anni, ho ripescato quella proposta e l'ho messa in pratica! ;)

      Elimina

Posta un commento

E ora dimmi cosa pensi...

Post popolari in questo blog

Color cervone

Intermezzo soft-porno. E anche soft-incazzato.

Settembre, il lunedì dell’anno